Un viaggio al museo archeologico di Napoli per far scoprire quadri celebri ai non vedenti.
Un percorso ricco di emozioni fra pezzi di stoffa, seggioline di legno e specchi.
Vieni, ti do il braccio», mi dice una voce femminile. «Dov’è?», chiedo. Ho gli occhi bendati e la sensazio ne è di aver perso pavimento, pareti e il mio stesso corpo. «Sei abituato troppo a guardare», commenta la voce. Sono al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann), per la fase sperimentale del progetto Aives, acronimo di Arte e Innovazione: visioni, emozioni, sensazioni. Un percorso multisensoriale – disponibile nella mostra permanente a partire da marzo – per rendere fruibili le opere d’arte ai non vedenti. L’idea è della società Tea, in collaborazione con l’università della Calabria, il contributo dei detenuti del penitenziario di Catanzaro e l’Istituto per la Ricerca, Formazione e Riabilitazione di Catanzaro. Ad oggi sono stati realizzati tre prototipi di quadri tattili: “Il figlio dell’uomo” di Magritte, “La stanza di Arles” di Van Gogh e l’affresco “Europa”, il cui originale è custodito proprio al Mann di Napoli.
«Chi nasce cieco non sa com’è il mondo», mi dice la voce. Qualcuno mi prende le mani e me le poggia su una superficie: «Alla base del quadro – spiega un’altra voce femminile – c’è una pulsantiera. Il primo pulsante introduce all’esplorazione guidata di ogni figura. Il secondo è il pulsante emozionale, attiva la traccia audio che coinvolgerà altri sensi, come l’olfatto. Infine c’è il tasto curiosità, racconta la storia dell’opera». Premo il primo pulsante. Una voce registrata mi dice: “Stai per osservare un affresco della casa di Giasone a Pompei. La scena ripropone il mito della principessa fenicia Europa. Posiziona le mani nell’angolo in basso a sinistra e muoviti lentamente verso destra fino a trovare il primo gruppo: si tratta di Europa seduta sul toro”. Le dita, all’oscuro di questo nuovo alfabeto, scorrono sui rilievi e trovano paesaggi rocciosi, rami di querce, capelli raccolti in uno chignon. Il passaggio dei polpastrelli attiva le fasi del racconto. Gli elementi sono riprodotti con gli stessi materiali degli oggetti rappresentati. La pelle del toro è pelle di vitello, se non fosse reale sarebbe illeggibile da parte di chi conosce il mondo con il tatto. Mi presentano Silvana Piscopo, che a causa di una retinite pigmentosa non vede dall’età di 18 anni. L’affresco le ha fatto sentire la nostalgia del liceo, «il periodo in cui ho studiato l’arte classica. E mi ha dato la libertà, senza essere condotta per mano, di andare dove il mio pensiero volesse andare. Con molte battaglie stiamo conquistando l’autonomia, ma l’autonomia è un valore fisico».
E con Francesca Amato, centralinista del museo e non vedente dalla nascita, viaggiamo fino in Francia, la voce guida ci dice: «Sei ad Arles, nella stanza dove visse Van Gogh nel 1888. La stai osservando in prospettiva, con le spalle appoggiate a una delle pareti. Parti dall’angolo inferiore sinistro e sali lentamente verso l’alto, fino a incontrare una sedia. Sopra la sedia, decentrato, troverai un asciugamano appeso a un chiodo». Sento la paglia della sedia, il tessuto del cappello del pittore, il vetro dello specchio. Il pulsante emozionale fa vivere il quadro, dalla finestra entrano il profumo del caffè del bar sotto casa e quello di lavanda, il suono di una locomotiva che sbuffa, voci di bimbi che giocano in strada. Il pulsante curiosità fa parlare la stanza: “Tutto quello che ami è fra le mie mura”. Francesca dice: «Mi trasmette la solitudine del pittore. Mi ha colpito la descrizione della cognata». Dopo la stanza infatti a parlare è lei: “Sposare tuo fratello Theo è stato un po’ come sposare anche te. Theo mi ha lasciato un altro compito, la tua opera. E scopo della mia vita è stato farla conoscere al mondo”. Mi tolgo la benda e il mondo riappare. Non me lo aspettavo così.
«L’idea nasce nel 2015 – spiega Elena Console, amministratore della società Tea di Catanzaro – ci occupiamo di allestimenti e ricerche nel campo dell’arte. La crisi ti fa venire in mente le cose più strane, ci siamo detti: perché non fare dei quadri per ciechi?». Luciana Loprete, presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti della sezione di Catanzaro racconta: «Elena si è presentata con un foglio con un disegno a matita leggermente in rilievo. Ho provato a toccare e le ho detto: ma non c’è nulla». Elena Console confessa: «I quadri sono stati realizzati sulla base delle sue indicazioni. Quando c’erano da verificare materiali, forme e narrazioni, lei è stata il nostro faro». Il primo prototipo al quale lavorano è “Il figlio dell’uomo” di Magritte, «Serviva una voce per registrare le parti narrate, abbiamo chiesto a un’associazione teatrale che fa volontariato alla casa penitenziaria di Catanzaro – dice Console – “La voce ce l’abbiamo ma è in carcere”, mi ha risposto. Ho detto: “Dov’è il problema?”. Poi ho scoperto che avevano anche laboratori di ceramica, di cucito, di falegnameria. E così è nata la collaborazione con i detenuti, che hanno realizzato le opere». La progettazione è a cura del Dipartimento di ingegneria meccanica, energetica e gestionale dell’Università della Calabria. «Abbiamo studiato – dice Valentina Rossetti dell’Unical – filamenti speciali per la stampa 3D. Li abbiamo testati con 60 utenti ciechi». Console aggiunge: «Perché si riescano a percepire tutti gli oggetti, deve esserci una distanza fra loro, affinché le dita possano passarci intorno e decodificarli»
Nella foto grande e sotto, l’opera tattile che riproduce “La stanza di Arles” di Van Gogh. Arles è il paesino del sud della Francia dove abitò il maestro Dalla finestra entrano il profumo del caffè del bar e quello di lavanda. Il pulsante attiva una traccia audio che coinvolge anche gli altri sensi